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Colpito il lavoro

Perché mai, nell’ambito di una ennesima manovra finanziaria che dovrebbe avere di mira le misure di contenimento del debito pubblico, il taglio degli sprechi e la lotta all’evasione, il moribondo governo in carica insiste nel proporre una norma che, in sostanza, fa tabula rasa delle tutele lavoristiche lasciate in eredità da mezzo secolo di tradizione riformista?

Mi riferisco all’articolo 8, secondo il quale, con accordi aziendali stipulati da non si sa chi potrebbero derogare tutte le norme fondamentali di tutela del lavoro: dalla disciplina delle mansioni a quella dell’inquadramento professionale, dall’orario di lavoro ai licenziamenti.

Si tratta di una proposta demenziale e avventurista, totalmente priva di senso razionale. Basti dire che se fosse vera una relazione univoca tra libertà di licenziamento e occupazione, gli Stati Uniti, dove vige in generale il principio del “employment at will” (vale a dire della libertà incondizionata di licenziamento) dovrebbero essere il paese della piena occupazione.

Lì invece ci sono 19 milioni di disoccupati. L’abrogazione delle norme cruciali dello Statuto dei lavoratori non ha quindi nulla a che fare con le misure di cui si discute ai fini di risanamento del debito pubblico e di controllo della spesa. Ha a che fare invece con una specifica intenzione politica sciagurata, impersonata in particolare dal ministro del lavoro in carica, il quale si è scientificamente attivato al fine di dividere le forze sociali, e in particolare di isolare la CGIL. Questa perniciosa attività rappresenta un paradigma negativo tanto più se confrontato con ministri del lavoro che rispondevano ai nomi di Giacomo Brodolini, Carlo Donat Cattin, Gino Giugni.

Nel merito, si può osservare che l’illegittimità costituzionale della norma in parola è evidente, sotto molteplici profili. Anzitutto in riferimento agli articoli 3 e 39 della Costituzione. La legge ordinaria non può infatti attribuire efficacia “erga omnes” ai contratti aziendali se non attraverso i criteri previsti dalla seconda parte dell’articolo 39. né può essere ammissibile che con legge ordinaria si disponga in materia di efficacia dei contratti collettivi.

Tanto meno è legittimo con legge disporre una sanatoria ex post di accordi aziendali (come quelli Fiat) “ove votati dalla maggioranza dei lavoratori”. Il ministro in carica cita a ogni pie’ sospinto, a sostegno delle sue clandestine tesi, impropriamente ed ingiustamente, il nome di Marco Biagi. Avendolo conosciuto sono convinto che Marco gli avrebbe impedito di dire almeno tali castronerie.

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